Con la sentenza n. 263 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, co. 3, D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, recante «Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’art. 1, co. 82, 83 e 85, lett. p), L. 23 giugno 2017, n. 103», per violazione degli artt. 76, 27, co. 3, e 31, co. 2, Cost., nella parte in cui prevede che, ai fini della concessione delle misure penali di comunità e dei permessi premio e per l’assegnazione al lavoro esterno, si applica l’art. 4-bis, co. 1 e 1-bis, ord. penit., il quale consente la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per taluni delitti, espressamente indicati, solo nei casi in cui gli stessi collaborino con la giustizia.
La Consulta ha dunque stabilito che i detenuti minorenni e i giovani adulti, condannati per uno dei c.d. reati ostativi, possano accedere alle misure penali di comunità, ai permessi premio e al lavoro esterno anche se, dopo la condanna, non hanno collaborato con la giustizia (v. Comunicato Stampa della Corte costituzionale del 6 dicembre 2019).
Il meccanismo preclusivo di cui all’art. 4-bis, co. 1 e 1-bis, ord. penit. è stato ritenuto in contrasto anzitutto con i principi della legge delega n. 103 del 2017, che imponeva di eliminare qualsiasi automatismo nella concessione dei benefici penitenziari ai detenuti minorenni.
Inoltre, la Corte ha ritenuto che la disposizione censurata si ponga in contrasto con gli artt. 27, co. 3, e 31, co. 2, Cost., perché l’automatismo legislativo si fonda su una presunzione assoluta di pericolosità basata soltanto sul titolo di reato commesso e impedisce perciò alla magistratura di sorveglianza una valutazione individualizzata dell’idoneità della misura a conseguire le preminenti finalità di risocializzazione che debbono presiedere all’esecuzione penale minorile. Va dunque riconosciuta come costituzionalmente imposta la necessità di prognosi individualizzate e di flessibilità del trattamento.
Il Giudice delle leggi ha ribadito, nella pronuncia in esame, il principio generale – di recente enunciato con riferimento ai soggetti adulti, condannati per i reati elencati all’art. 4-bis, co. 1, ord. penit. – secondo cui l’assolutezza della presunzione di pericolosità impedisce di valutare il percorso carcerario del condannato e pertanto si pone in contrasto con la funzione rieducativa della pena. Non è la presunzione in sé stessa a risultare costituzionalmente illegittima, ma la sua assolutezza (sent. cost. n. 253 del 2019).
Estremo interesse suscitano le riflessioni che si leggono nell’ultima parte della decisione qui pubblicata. Come ha chiarito la Corte, dal superamento del meccanismo preclusivo che osta alla concessione delle misure extramurarie non deriva in ogni caso una generale fruibilità dei benefici. Al tribunale di sorveglianza compete, infatti, la valutazione caso per caso dell’idoneità e della meritevolezza delle misure extramurarie, secondo il progetto educativo costruito sulle esigenze del singolo. Solo attraverso questo necessario vaglio giudiziale – ha concluso la Corte – è possibile tenere conto, ai fini dell’applicazione dei benefici penitenziari, anche delle ragioni della mancata collaborazione, delle condotte concretamente riparative e dei progressi compiuti nell’ambito del percorso riabilitativo.